Contest “la vita in maschera” – Raffaele Scotti – Scrittura
BEAUTY AND THE BEAST
C’era una volta, e ci sarà ancora, un uomo ricco che aveva tre figlie. Prive della madre sin da tenera età, le tre bambine erano state allevate da un padre premuroso e buono: le aveva circondate di lusso e benessere e ogni desiderio era loro esaudito da una servitù paziente e leale.
L’uomo ricco era un uomo buono e quando poteva faceva del bene, nessuno escluso, nonostante due delle sue figlie lo criticassero spesso per questo atteggiamento. La più piccola delle tre, la più bella, era l’unica a sostenerlo e conservava quella naturale pietà che era stata della madre defunta.
“Siamo ricche…” diceva Bellezza alle sorelle, “Ma questo non vuol dire che non dobbiamo avere carità verso i poveri. A noi molte cose avanzano, mentre a certa gente basterebbe poco…”.
“La ricchezza è nostra!” rispondevano loro deridendo il suo pietismo, “La povertà non è affare che ci riguarda!”.
Le cose belle, si sa, durano poco, e così avvenne che l’uomo ricco perdesse tutto ciò che possedeva. Quelli che lo avevano servito negli anni incominciarono ad abbandonarlo e gli altri che da lui avevano ricevuto aiuto e sostegno finsero di non conoscerlo. In poco tempo l’uomo restò solo con le tre figlie nella miseria più devastante.
“Guarda!” diceva la gente che lo vedeva elemosinare, “Si è tanto prodigato per gli altri e adesso non ha più nulla!”.
Per questo, dopo giornate passate a racimolare spiccioli insignificanti o a rimediare un lavoro, l’uomo ritornava nella sua squallida casa con tutta l’amarezza di chi avrebbe preferito morire piuttosto che continuare in quel modo.
A casa, Bellezza gli faceva trovare sempre un pasto caldo. Fosse stata anche acqua calda, l’uomo l’avrebbe benedetta comunque.
Se non cucinava, Bellezza ripuliva la casa, quel che ne restava, e se non puliva, ricamava, sicura di poter sfruttare quella sua arte per poter guadagnare qualche soldo.
“Dove sono le tue sorelle?” chiedeva ogni sera l’uomo sicuro che la figlia che aveva imparato ad amare di più non gli rispondesse.
“Siedi e mangia, sarai stanco…” diceva sempre Bellezza.
Un giorno, mentre rovistava tra la roba vecchia in soffitta in cerca di qualcosa di valore da poter vendere, l’uomo trovò dei gioielli e stoffe pregiate che erano stati i capricci delle sue cattive figlie. Stimò di poter ricavare una discreta somma e, sebbene non pensò mai di poter ritornare ricco come lo era stato un tempo, si procurò uno sgangherato carretto e un cavallo malsano in modo da trasportare quel carico di speranza sino al mercato più vicino.
“Tentare non mi costerà nulla…” disse alle figlie il giorno in cui partì, “E credo anche di potervi promettere un regalo…”.
“Pensa di tornare con i soldi!” sbraitò Iride che quel giorno non era uscita con la sorella.
“E tu Bellezza?” chiese affranto l’uomo, “Non vuoi nulla?”.
“Mi dai già quello che merito, ma se puoi, portami una rosa…”.
Durante il tragitto verso la città ove si teneva il mercato, una tempesta si abbatté sull’uomo e il suo carico. Non c’era riparo, non ne trovò, era notte fonda, e tra la pioggia incessante e un vento gelido, il suo cavallo stramazzò. Come conseguenza, il carretto su cui viaggiava si spezzò in due e tutto il prezioso carico finì nella melma di fango, acqua e foglie che la tempesta aveva generato. A quel punto, l’uomo non cercò nemmeno di salvare il salvabile e ridotto com’era si lasciò cadere a terra aspettando con sollievo la morte.
“Sorte infame!” urlò alla tempesta, “Vieni a prendermi, che aspetti?” e iniziò a ridere di pazzia.
Ma il tempo passava, della morte neanche l’ombra, e quando ormai si era rassegnato all’idea di vivere ancora per un giorno almeno, il pensiero della sua amata Bellezza lo destò dalla follia per un po’ e, facendolo voltare su un lato, gli mostrò un bagliore nel buio. Era un cancello di un enorme castello ed era aperto.
Trovò così riparo in quella che sarebbe dovuta essere una stalla anche se di cavalli non ce n’erano, e, stremato dalla disperazione, lì si addormentò quella notte non accorgendosi che da una piccola fessura in un muro lo spiavano due occhi rossi e cattivi…
Si svegliò la mattina successiva e della tempesta non gli rimase che il brutto ricordo dei momenti peggiori. In cerca di qualcuno, si avviò al cortile del castello proprio davanti all’ingresso interno della stalla: il castello sembrava abbandonato.
Si voltò per tornare sui suoi passi quando vide un’aiuola di rose rosse. Erano ben tenute e sembrava quasi che qualcuno le coltivasse. Senza esitare, ne raccolse una.
“Al diavolo!” disse, “Almeno Bellezza avrà ciò che merita!”.
“Ehi, tu!” urlò una voce alle sue spalle.
L’uomo balzò in piedi impaurito e si voltò.
“Non credi di esagerare?”.
Di fronte a lui c’era un bel ragazzo dall’aspetto baldanzoso e nobile che sembrava essere sbucato dal nulla.
“Perdonami giovane Signore…” disse l’uomo, “Ho abusato della tua ospitalità, ma ieri notte…”.
“Lo so bene!” lo interruppe bruscamente l’altro.
“C’era una tempesta ed io…”.
“Non dirmi quello che so, vecchio! Piuttosto, perché non sei morto?”.
“Ma…io…”.
L’uomo non credeva alle sue orecchie: possibile che un così bel giovane fosse tanto cattivo?
“Chi ti ha dato il permesso di cogliere quella rosa? E chi sarebbe questa Bellezza?” domando il bel ragazzo.
“Parlavo…io…parlavo di mia figlia, Signore…” rispose l’uomo visibilmente terrorizzato.
“Bellezza! E che diavolo di nome è mai questo!” e rise.
“Ti prego…” disse l’uomo, “Lasciami tornare da lei, ti pagherò questa rosa che ho colto senza il tuo permesso…”.
Il bel giovane smise di ridere immediatamente. Si fece scuro in volto e l’uomo pensò che l’avrebbe ucciso. In realtà stava pensando e più pensava, più i suoi occhi divenivano perfidi e malvagi. Alla fine scoppiò in una grassa risata.
“Ti lascerò andare, vecchio…” disse all’uomo, “Ma a patto che tu mi porti qui questa Bellezza!”.
“No! Ti prego! Non puoi chiedermelo!”.
“Invece te lo ordino!” replicò il bel ragazzo, “E se non lo fai, prima ti faccio ingoiare quella rosa, poi ti uccido!”.
Il giorno seguente, l’uomo tornò a casa scortato da due energumeni che servivano il bel ragazzo. Erano rozzi, grassi e cattivi e pretesero vitto e alloggio per la notte.
“Visto che ci sei…” aggiunse quello dei due che comandava, “Procuraci delle donne, altrimenti sfrutteremo le tue!”.
Bellezza fu l’unica ad accogliere il padre al suo ritorno e quando questi le chiese delle sorelle, la ragazza iniziò a piangere.
“Racconta figliola, cosa è successo durante la mia assenza?” domandò l’uomo.
Così Bellezza raccontò di quando era andata al mercato per vendere i suoi ricami, come, quel giorno, le sorelle si erano agghindate come sempre facevano da qualche mese a quella parte per adescare giovani facoltosi e aitanti militari.
Raccontò com’era riuscita a racimolare soldi per una settimana senza stenti e come le sorelle le avevano derubato quei pochi spiccioli per poi sparire e non tornare più a casa…
Iride e Diana, le sorelle di Bellezza, sposarono due giovani ricchi e facoltosi ma di aspetto orribile.
Avendoli conquistati con sottane e reggicalze in pizzo che la sorella aveva inconsapevolmente ricamato per i loro impuri affari, non si curarono minimamente della fama che le accompagnò per il resto dei loro giorni.
Vissero in lusso e ricchezza scandalizzando la vita domestica dei rispettivi talami, prima con feste indecenti dove davano libero sfogo alle loro più subdole fantasie, anche criminali, dopo, avendo fatto assassinare i mariti, trasformando le loro stesse case in veri bordelli d’alta classe.
Bellezza, invece, trascorse gran parte della sua esistenza con il bel ragazzo dai modi di Bestia e non fu mai felice.
Durante il viaggio che la portava dal suo futuro e non amato sposo, i due servi che l’accompagnavano la violentarono ripetutamente prima di presentarla al loro padrone, ma lei preferì non riferirgli nulla, anche perché sapeva che sarebbe stato inutile: lui non l’avrebbe mai rispettata.
Inoltre, venne a conoscenza del sortilegio che lo guidava e seppe troppo tardi il perché dei suoi tormenti.
Lo aveva scoperto per caso, lo aveva scoperto disubbidendogli.
Vide tutto quando entrò nella stanza che le aveva proibito, udì tutto solo appoggiando le mani alla cupola di cristallo che proteggeva una rosa…
Eric era stato un giovane cortese e gentile, ma non di bell’aspetto, finché non aveva incontrato la vecchia megera che gli aveva maledetto la vita.
La donna, che si era trovata al suo castello spinta dalla fame e dal suo continuo girovagare per elemosinare qualcosa, era stata offesa dai modi gentili e sinceri del giovane che non solo le aveva offerto vitto, ma anche riparo per la notte.
“Da questo momento in poi sarai la persona più odiosa e cattiva che si possa immaginare…” gli aveva detto maledicendolo, “Solo quando incontrerai una donna che ti ami per quello che hai e non per quello che sei, l’incantesimo svanirà! Ma tutto dovrà accadere prima che questa rosa appassisca!” e gli aveva gettato ai piedi una rosa dai petali rossi.
La Bestia le prometteva ogni giorno che avrebbe rivisto il padre e lei ci credeva, sempre, ma quando si ubriacava le diceva che in realtà era morto da tempo e non lo avrebbe mai più rivisto, e lei, stupida, non gli credeva.
La picchiava selvaggiamente anche se non gli disubbidiva o gli rinfacciava qualcosa sottovoce, e peggio era quando era euforico: lasciava che la servitù la maltrattasse, lasciava che gli amici la violentassero mentre lui s’intratteneva con le loro mogli.
A letto la obbligava alle più immonde sconcezze e guai se si rifiutava. Ore interminabili erano quelle che separavano la notte dal giorno, e solo quando il primo raggio di sole penetrava nell’enorme stanza da letto la furia lussuriosa della Bestia sembrava acquietarsi.
Bellezza subiva, subiva e sognava il padre…
Il mattino dopo il ritorno del padre, Bellezza partiva alla volta del castello della Bestia scortata dai suoi servi. Con se aveva la rosa che il padre le aveva regalato, in cuor suo, tanta speranza.
“Tornerò…” aveva detto, “Non essere triste, vedrai che un giorno staremo ancora insieme…Conservala per me…” e gli aveva porto la rosa.
Ma l’uomo sapeva che così non sarebbe stato, perciò, la notte stessa s’impiccò. Non morì subito però, perché la trave a cui si era legato era marcia e si spezzò: cadde a terra fratturandosi le gambe e alcune costole che gli perforarono i polmoni.
Finì così i suoi giorni sul pavimento di quello che era stato il soggiorno di casa con la sola compagnia della rosa che marcì molto tempo dopo la sua agonia…
Un giorno, quando Bellezza credeva ormai di perdere anche il terzo figlio, figlio di chi non poteva saperlo, per colpa dei continui calci al ventre che le davano, si ritrovò ancora nella stanza proibita. L’ultimo petalo della rosa sembrava stesse per cadere e a quella vista il suo cuore si riempì di speranza.
Si portò le mani al ventre: “Forse riuscirò a tenere questo bambino, forse rivedrò mio padre…” disse con un filo di voce.
“Ti sbagli!” tuonò la Bestia alle sue spalle. Era arrabbiato come un uomo, “Quell’idiota del tuo vecchio è morto da tempo!”.
“No!” urlò Bellezza.
“Quante volte ti ho detto di non contraddirmi!”.
“No! Mio padre è vivo, è vivo!”.
“Non alzare la voce con me!” e le fu addosso.
Le botte che prese la fecero abortire per la terza volta, ma in compenso la Bestia morì.
Quando le era saltato addosso, inavvertitamente, tanta era stata la sua ira, aveva urtato la cupola di cristallo che proteggeva la rosa frantumandola e l’ultimo petalo era volato via dal gambo.
Nell’istante in cui il petalo si staccava, il cuore della Bestia cessava di battere e, come una folata di vento che spazza via la sporcizia da un viale, l’incantesimo sparì.
Bellezza poté assaporare questo momento solo per poco, perché mentre Eric moriva, lei sveniva sommersa dal suo stesso sangue che per poco non l’affogò…
Bellezza era ancora una donna piacente e bella quando si appropriò della vita negatale, ma preferì finire i suoi giorni da sola, senza nessun uomo al fianco, anche perché gli uomini della sua vita avevano sempre voluto qualcosa da lei, qualcosa che, a dirla tutta, non le aveva mai procurato piacere.
Visse nel lusso e nella ricchezza che la Bestia le aveva lasciato e sebbene circondata da servitù divenuta amorevole e cortese, fu triste e si sentì sola.
Morì di un male incurabile quando ormai la sua giovinezza non aveva più nulla da dire e l’ultimo suo pensiero in punto di morte fu per le sorelle che aveva saputo essere in vite migliori.
Quando arrivò all’Inferno, Bellezza venne accompagnata dallo spirito del padre nel girone dei lussuriosi, dove soggiornava dal giorno della sua morte, e ancora oggi la si può trovare in quel posto d’anime perse insieme alle sorelle e a quelli come loro.
Felici e contenti.
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