Contest “la vita in maschera” – Rebecca Mazzarella – Scrittura
Il momento in cui preferivo passeggiare era la sera. La sigaretta in bocca, il mio cappotto in tweed grigio e un po’ consumato e il mio basco che teneva caldi i miei pensieri.
Ogni giorno eseguivo lo stesso percorso, incontravo le stesse persone, per avere l’illusione di fare parte delle loro vite anche solo per un momento. Era un effimero pensiero che mi teneva legato alla realtà. I lampioni emanavano una luce fredda mentre stelle brillanti si accendevano nel cielo, il freddo invernale addensava il fumo di sigaretta che si andava ad appoggiare fra le pieghe del mio viso. Guardavo incantato le finestre illuminate, l’idea che dietro le tende ci fossero case piene del calore familiare mi faceva sognare.
Feci questo percorso per non so quanti anni, attendevo una visita che sembrava essersi dimenticata di me quando, in una delle mie passeggiate serali, passando sotto la finestra di un palazzone, vidi una ragazzina. Avrà avuto tredici anni o forse qualche anno in più, mi ha sempre sorriso quando la incontravo per strada, anche quando c’era la pioggia o la nebbia.
Si, perché la gente non sorride mai quando il tempo è brutto, eppure basterebbe che aprissero gli occhi perché non appena una nube si sposta, il sole è sempre lì che splende.
E’ una cosa che ho sempre cercato di insegnare anche a mio figlio, prima che se ne andasse con tutti i nostri risparmi lasciandoci vivere in un posto poco raccomandabile.
Questa ragazzina era lì che attendeva il mio passaggio. O almeno così mi piaceva pensare. Per molte persone ero solo un ombra che si percepisce con la coda dell’occhio, ma che scompare quando vai a cercare ciò che ha richiamato l’attenzione. Mentre lei no. Aveva qualcosa di diverso.
Alzai gli occhi e le sorrisi, mentre le mie guance spostavano verso l’alto le rughe e la mia sigaretta buttava fuori fumo come un treno in movimento, lei mi sorrise e mi salutò.
Non so dire perché ma rimasi interdetto. Tanto tempo passato come un fantasma a solcare con i miei anni il freddo marciapiede e solo un sorriso servì per riscaldarmi il cuore.
I giorni seguenti procedettero come al solito, maschere cupe e grigie tutte simili tra loro, come piccoli robot attirati dalla forza motrice che li spinge nella stessa direzione.
Quella sera, come ogni sera, mi vestii per uscire. I miei pantaloni marroni toccavano terra da quando ero invecchiato, il mio cappotto grigio, le mani raccolte dietro la schiena e la mia unica compagna, la sigaretta. Era da un po’ che non vedevo quella ragazza, quell’unico raggio di sole nelle mie giornate sempre uguali.
Era febbraio forse, il cielo scuro ma limpido che faceva da sfondo a stelle luminose, il respiro si addensava in piccole nuvolette di vapore e l’aria era frizzante e fredda. I bambini urlavano per mettere paura ai passanti con i loro travestimenti troppo grandi per fare realmente paura, i genitori con la solita espressione, troppo stanchi e preoccupati per vedere che la vita gli scorreva davanti alla velocità della luce.
Guardai in alto, lei non c’era. Un signore col cane al guinzaglio mi salutò, alzai il cappello e aspirai una boccata di fumo. Girai l’angolo col mio passo incerto e dei ragazzi mi passarono a fianco senza neanche accorgersi di me.
Ricordo che pensai a ciò che disse uno scrittore: “Nessuno è un’isola” ma se fosse stato realmente così non avrei passato anni a sguazzare nella costante sensazione che la forza d’inerzia mi avesse spinto nella solitudine.
In gioventù ero uno dei pochi che aveva avuto la fortuna di avere una famiglia unita, poi sono partito per la guerra. Ho visto amici cadere ed esplodere come i fantocci che si vedono alla tv. Nel mio passato fui un buon marito, un buon padre, un buon amico e un buon uomo, per ritrovarmi alla fine ad essere la mia stessa caricatura. Probabilmente ho sbagliato tante, troppe volte nella mia vita, ma ho sempre cercato di vederne il buono, nonostante tutto.
“Buona sera!” disse qualcuno con voce squillante di fronte a me, destandomi dai pensieri.
Non dissi nulla, sorrisi e alzai il cappello con un breve inchino come avevo sempre fatto, pronto a riprendere il cammino.
“Ti stavo aspettando.” disse con serenità.
La guardai con aria dubbiosa ma poi la riconobbi, fu come se ci conoscessimo da sempre “Sei in ritardo vecchia mia.” risposi sorridendo. “Dove mi porti questa sera?” domandai sarcastico.
“Ti porto a riabbracciare alcune persone che non vedono l’ora di vederti, hai voglia?” chiese sorridendomi serena.
“Si, moltissimo!” assentii felice. “Sono stanco di passeggiare. Anche se..”
“Cosa?” chiese lei curiosa.
“Quella ragazzina. Non avrò più modo di rivederla. So che è stupido, ma mi ci sono affezionato.” Conclusi tristemente, chinando il capo.
“Dentro di lei hai lasciato un ricordo bellissimo. Anche dietro a tutte quelle rughe, lei ha capito chi sei e sei diventato parte della sua vita.” Rispose sorridendomi.
“Sai, pensavo saresti arrivata tutta vestita di nero, con la faccia cadaverica e la falce.” Dissi sarcastico, non volevo mostrare la mia leggera tristezza.
Lei rise dolcemente “Così mi immaginano alcuni, ma è solo una facciata.” concluse continuando a camminare. Arrivammo nel punto esatto dove mi fermavo per salutare quella ragazza.
Lei era li, cercava qualcosa o qualcuno, provai ad agitare la mia mano in segno di saluto ma non ricambiò. “Non può vedermi?” chiesi tristemente.
“No.” rispose lei sorridendomi “Ma grazie a te ha appena scoperto l’amore per la scrittura, e ha composto la sua prima poesia dedicata a te. E’ stato un ruolo importante il tuo. Non credi?”
“Ma non le ho mai parlato.” dissi scuro in volto.
“Se siamo liberi, è la nostra anima che parla per noi.” Rispose sorridendomi serena, mi sentii colmo di gioia e con la voglia di partire per un nuovo viaggio. “Ora andiamo che ci stanno aspettando.” mi prese per mano e sorridendole percorsi per l’ultima volta quel marciapiede che mi aveva sorretto per molti anni. Alle spalle lasciavo tutte le maschere pesanti che mi ero portato appresso e da quel momento fui di nuovo libero di volare.
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